“Socialmente pericolosi” perché… desiderosi di riscatto!

Tra gli appuntamenti serali della prima giornata del Festival della Partecipazione, la proiezione a Palazzo Fibbioni del film “Socialmente pericolosi” di Fabio Venditti.

Il film racconta la storia dello stesso Venditti, giornalista che si trova coinvolto in un rapporto di collaborazione con il boss di camorra Mario Spadoni. Fabio ha il compito di scrivere un libro che raccolga le testimonianze del boss.

Inizialmente, come da parole del giornalista stesso, il suo operato è basato sull’ ”istinto cinico del cacciatore di storie”; porta avanti l’incarico in maniera estremamente professionale, curandosi principalmente della qualità del servizio, senza partecipare emotivamente alle vicende narrate. In breve tempo però, i rapporti si consolidano: “giornalista e camorrista” finiscono a sorprendersi legati da un solido sentimento di amicizia.
Indagando nel vissuto dell’intervistato, il giornalista entra in contatto con le storie di vita dei ragazzi napoletani che vivono nei Quartieri Spagnoli. Storie di “mala vita”, segnate dal fardello della disoccupazione, della povertà e da tutti i disagi che ne conseguono.
Improvvisamente il fisico di Mario rivela la sua instabilità: si scopre afflitto da una cirrosi epatica allo stato avanzato, aggravata dalla presenza di quattro calcinomi. Mario, originariamente autoironico e in apparenza sereno, smette di sorridere: la malattia comincia a consumarlo.
Da questa sofferenza nasce in Fabio una forte indignazione che lo spinge a dare risalto mediatico al fatto: le istituzioni sembrano non avere cura delle condizioni di salute del detenuto. A seguito di convinte battaglie Fabio riesce a far sì che l’amico ottenga i domiciliari per potersi curare: è proprio lui ad ospitarlo in casa, a Roma.

Contrariamente al classico sceneggiato sui temi di mafia, antimafia, legalità o giornalismo d’inchiesta, superando ogni cliché, questo film riesce a fornire nuovi spunti di riflessione. Lo spettatore è infatti posto nella condizione di chi analizza la vicenda da una prospettiva alternativa: il boss della camorra, Mario, si presenta innanzitutto come uomo, prima che come malavitoso. E’ in fondo una persona legata alla propria terra, che ha agito, sbagliando, ma in nome di un desiderio di cambiamento, affinché i propri figli potessero condurre una vita migliore della sua.

Le tante sfumature che colorano la vicenda inducono a riflettere su quanto superficiale sia la nostra visione, quando non ci fermiamo a riflettere sulla natura delle realtà che ci circondano. I ragazzi di quei quartieri sono degli emarginati sociali perché, in fondo, è proprio lo Stato a volerli tali. Le mafie che da questa situazione si originano, sono solo la successiva conseguenza di un problema più antico.

Silvia Cercarelli