Il miele della cooperazione scoperto ad occhi chiusi

Il gusto del miele ad occhi chiusi, col ronzio delle api riprodotto nel cortile di Palazzo Bonanni: un successo la degustazione tra gli eventi inaugurali del Festival della Partecipazione.

Organizzato da Condotta Slow Food di Trento e LEO Club Trento Distretto 108TA1, il viaggio a luci spente è stato guidato dalla narrazione dell’apicoltore Andrea Paternoster.

Il bee charmer trentino, che dal nonno paterno ha ereditato il nome e l’amore per la natura, non ci ha pensato due volte a stravolgere i suoi progetti di vita per dedicarsi con passione e amore alla cura delle api, prefiggendosi una mission ben precisa: far riscoprire la dignità del miele, da troppo tempo oramai, svilito a mero dolcificante. A differenza di Zorro (l’innominabile zucchero, ndr) che è un prodotto chimico e sempre disponibile, il nettare ambrato è un dono che la Madre Terra, attraverso i fiori, fa all’uomo; pertanto, riconoscergli la nobiltà che merita significa anche valorizzare la grande ricchezza e generosità della natura del nostro Paese.
Prima di assaporare i suoi mieli, Paternoster spiega le ragioni che l’hanno spinto ad essere uno dei protagonisti del Festival, mettendo la sua storia personale e professionale al servizio della causa della manifestazione.

Perché parlare di apicoltura al Festival della Partecipazione? Perché il miele è il prodotto di un lavoro sociale e partecipato, quello delle api, appunto. Nelle dinamiche di cooperazione che regnano all’interno dell’alveare, e non solo, sembrano trovare perfetta realizzazione le celebri parole di Walt Whitman: “I am large, I contain multitudes”. Ed è proprio questa moltitudine, in grande maggioranza femminile, che collabora con eccezionale solidarietà alla produzione del miele e, in generale, alla vita dei propri simili. Un esempio emblematico di questo muto sostegno è rappresentato dalla cosiddetta danza delle api: attraverso una danza a forma di 8, gli insetti comunicano agli altri membri della comunità la localizzazione e la natura delle sorgenti di nettare.
Va da sé l’importanza di parlare di cooperazione in una realtà come quella aquilana dove è possibile auspicare un futuro migliore solamente canalizzando gli sforzi di tutte le parti coinvolte nella ricostruzione verso obiettivi condivisi.

Perché proporre una degustazione di mieli al buio? Perché le api trascorrono ¾ della propria esistenza nell’oscurità dell’alveare; questa condizione, di necessità, le porta ad affinare gli altri sensi, proprio come fa chi non può avvalersi della vista: viene a crearsi un mondo “altro” fatto di esperienze tattili, di odori, sapori e suoni in cui la mancanza cessa di essere un limite.
I partecipanti all’incontro, coperti gli occhi con una benda scura, si sono lasciati guidare da Paternoster in un’esperienza volta a coinvolgere tutti i sensi, fuorché la vista. Un percorso a tappe che ha portato ad annusare fragranze inebrianti, a scoprire consistenze diverse quando il miele incontra la lingua e il palato, ad assaporare gusti nuovi, ora più decisi, ora più delicati.

Il tatto è stato appagato dalla scoperta di una tavoletta di cera all’interno di una busta di carta: ogni astante, delicatamente, ha accarezzato con la superficie dei polpastrelli le piccole celle esagonali, esempio perfetto di ingegneria della natura.

La degustazione si è conclusa con l’esplosione di dolcezza del miele assaporato all’interno del favo, con le note di Ho visto Nina volare di Fabrizio De André in sottofondo: “mastica e sputa/ da una parte il miele/ mastica e sputa/ dall’altra la cera”.
Prima dei saluti, Paternoster ci lascia con il V Canto de “Il miele” di Tonino Guerra:
“Pirìn dagli Evi ha il nome di suo padre / che a sua volta aveva quello del nonno, / insomma i Pirìn dagli Evi non finiscono mai / e facevano il miele / con l’odore della menta. / La casa, a mezza costa, / è lontana dal paese e dalla valle. // Voi non sapete che in America, a primavera, / ci sono i treni che passano nelle pianure di meli e di peschi / e portano le arnie delle api / che fanno da ruffiane da fiore a fiore / perché i rami non si muovono per fare all’amore / e non arrivano a sgocciolare dentro le campanule. // Questo è il mestiere che fa Pirìn in primavera: / porta le arnie in giro nelle campagne / e poi aspetta all’ombra che i culi delle api, / golose e impazienti, ingravidino i fiori. / Ecco perché nascono i frutti, altrimenti / non ci sarebbero né mele, né pesche, più niente.”

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Angela Lolli