Lottare Assai senza il corno di Olifante

“Quel telefono rimarrà muto, come il Corno di Olifante!” Ma se il corno-telefono è rimasto muto, sia per il paladino Orlando che per il giudice Paolo Borsellino, la frase ha rimbombato forte ieri sera, nell’auditorium di Renzo Piano, grazie allo spettacolo teatrale della Compagnia Stabile Assai.

“Il Corno di Olifante” prende spunto dall’episodio tramandato dalla Chanson de Roland e dal rifiuto di Orlando di suonare il corno per chiamare aiuto nella battaglia di Roncisvalle, l’agguato in cui perderà la vita.

Il paragone tra Orlando e Paolo Borsellino sorge spontaneo: il giudice non solleverà la cornetta per farsi trasferire dalla Sicilia nonostante le minacce di morte. Scritto da Antonio Turco e Patrizio Pacioni, lo spettacolo è stato proposto dalla Compagnia Stabile Assai della Casa Circondariale di Rebibbia (Ro), che dal 1982 lavora per il riscatto e la costruzione di percorsi alternativi per i detenuti: sul palco anche volontari, musicisti ed attori professionisti. Il giudice Borsellino è stato interpretato dall’ergastolano Cosimo Rega, Giovanni Falcone all’agente penitenziario Rocco Duca: il loro dialogo tra i momenti più toccanti della serata. Perché quando Falcone, ormai morto, decide di informare Borsellino che mancano poche ore alla sua fine, egli si rifiuta di farsi trasferire. Non bisogna rispondere a un’ingiustizia con un’altra ingiustizia, e soprattutto, la mafia siciliana si rafforzerebbe se Borsellino scappasse. Del resto, come affermò Borsellino stesso, “è bello morire per ciò in cui si crede. Chi ha paura, muore ogni giorno. Chi non ha paura, muore una volta sola”. Dobbiamo affrontare la mafia con coraggio, senza dimenticare, a venticinque anni dalla loro scomparsa, eroi come Falcone e Borsellino. L’unica sofferenza che ebbe Borsellino fu quella di dover lasciare i propri cari, altrimenti sarebbe morto sereno. Sì, se fosse scappato i suoi figli e sua moglie avrebbero avuto ancora un padre e un marito. Forse avrebbe dovuto alzare quella cornetta per la sua famiglia. È stato egoismo, quello di Borsellino? No, si trattava della più grande forma di altruismo e di lotta alla malavita che potessimo avere.

Nello spettacolo, in cui i dialoghi sono stati alternati alle esecuzioni live di Linda Cocciolo per il coro, Enzo Pitta come pianista, Lucio Turco come batterista, Barbara Santoni come cantante e Antonio Turco come chitarrista, sono stati molti gli interrogativi sollevati sulla gestione della politica e del potere in Italia negli ultimi 50 anni. Sul palco, anche Andreotti, interpretato da Massimo Tata; il Corvo-Angelo Calabria; il figlio e la moglie di Borsellino, rispettivamente Luca Mariani e Patrizia Spagnoli; la giornalista Flaminia Lera; Alda-Iris Basilicata. Proprio lei ha lanciato un appello speciale alle donne. Donne che un tempo erano madri e sorelle, e che ora hanno perso figli e fratelli. Madri di giustizia che hanno perso anch’essa. Adesso sono solo donne, e devono farsi sentire.

Nell’auditorium risuonano il desiderio di rinascita, la voglia di espiare i peccati commessi. I detenuti e gli ex detenuti del carcere di Rebibbia dimostrano una totale ambizione a rivoluzionare la propria vita. Ecco l’esortazione che essi ci danno: vivere per combattere l’illegalità, vivere con onestà di principi, senza la paura di farlo.

Arianna Maran