Fabrizio Barca: “Partecipare per ricostruire”

Proporre, apprendere e confrontarsi ad 8 anni dal sisma: tra i relatori del Festival della Partecipazione, Fabrizio Barca, ex Ministro della Coesione Territoriale nel governo Monti. Lo abbiamo incontrato ieri prima dell’evento conclusivo per conoscere il suo punto di vista sulla ricostruzione.

Come giudica la complessità della ricostruzione sociale?

Mentre per la ricostruzione materiale L’Aquila ha trovato una strada per consentire ai suoi cittadini di rientrare nelle case in tempi buoni, raggiungendo risultati di cui bisognerebbe essere orgogliosi, la partita della ricostruzione sociale è ancora aperta. Infatti domande e suggestioni che nascono spontaneamente, come “di cosa vivrà L’Aquila? Turismo? Ancora industria?” o “Chi vivrà qui?” sono ancora senza risposta. I numerosi confronti non hanno creato una visione condivisa e ciò crea incertezza. Il Festival della Partecipazione è un’ottima occasione per dedicarsi alla questione, preparandola in futuro a un momento topico conclusivo della città in cui si discuta con interlocutori della politica”.

In relazione alla sua attività ParMap, in cui ha mappato proposte civiche per il Partito Democratico, pensa che la nostra città avrebbe potuto essere un luogo ideale in cui sperimentare una nuova proficua operativa convivenza?

“Ci sono diversi modi di perdere: a Parma il PD ha perso, ma con un numero di voti elevato e ha ricostruito un gruppo dirigente includendo molti giovani, restituendo alla città una forte opposizione. Si può governare dall’opposizione discutendo in Consiglio. Mi auguro che il Pd dalla sconfitta riceva una spinta:sarebbe una bella idea adottare il modello parmigiano per ricostruirsi”.

E’ mancato qualcosa a L’Aquila per essere un luogo ideale?

“A L’Aquila sono mancati i partiti. Quando sono venuto qui ho interloquito con il Sindaco, con il quale ho avuto affetti e tensioni, ma non con un partito. L’unico partito che trovai fu “Appello per L’Aquila”. Così, arrivando come Ministro della Repubblica, non ebbi corpi intermedi tra me e i cittadini se non “Il Fatto Quotidiano”che organizzò incontri in piazza con la gente.

E’ sicuramente importante la partecipazione dei giovani alla vita pubblica, ma lei non ravvisa un limite nell’attuale tendenza che vede scendere in campo giovani privi di esperienza sia in ambito teorico che pratico?

“Una delle caratteristiche positive dei partiti, ad esempio in Germania, è che la selezione dei candidati viene fatta su dimostrazione concreta di leadership, che non è “comandare” ma “trovare la quadra”, perché nei partiti le organizzazioni giovanili o i giovani del partito fanno le loro prime esperienze, misurandosi con problemi quando ancora non hanno responsabilità decisionali. Oggi in Italia questo non avviene; il cambiamento giovanilistico attuale non è quindi positivo se non rispetta i criteri di cui ho appena parlato”.

In relazione alla situazione politica, economica e lavorativa italiana, qual è il consiglio che lei darebbe a noi giovani? Andare o restare?

“Il tema dell’andare o restare è molto delicato; bisogna differenziare due aspetti. Per prima cosa lo Stato dovrebbe offrire a tutti, in ogni luogo d’Italia, le condizioni per decidere, dando però la chance di restare, cosa che non avviene spesso. La vostra città, per esempio, è un luogo che offre scuole di alto livello e un’ottima ed ampia formazione universitaria.
E poi, finché riusciamo a tenere l’Europa unita, bisogna ‘fare shopping’: passare, nei limiti del possibile, periodi fuori per approvvigionarsi, per sprovincializzarsi, per costruire relazioni e guardare con occhi diversi il luogo da dove vieni, scoprire che è un posto bello. Se “fai shopping” abbastanza presto, ti viene la tentazione di star fuori ancora un po’ ma anche di voler tornare. Per questa ragione bisogna tenere l’Europa unita, poiché può offrire condizioni e possibilità infinte di studio, di crescita e di esperienza.”

Paola Farroni